◀ The ghost in me iii - capitolo 1 ▶

AMARA
1 gennaio 2068, 22:57
Vengo svegliata bruscamente da una forte vibrazione alla schiena. Sobbalzo. Anche Mark si sveglia di colpo. Mi scosto, una forte luce rossa lampeggiante illumina la stanza, è il suo smartwatch. Sembra impazzito, continua a lampeggiare e vibrare come un allarme.
«Ma che succede?!»
Mark non mi risponde, impreca precipitandosi giù dal letto. Lo vedo accedere alla sua stanza segreta. Non appena la libreria si sposta si fionda dentro. Lo seguo: sta accadendo qualcosa.
Entro nella stanza. Mark è davanti al PC da cui proviene una voce matura e femminile. Sul monitor, una donna dai capelli raccolti biondo cenere, vestita con una camicetta elegante e con indosso degli occhiali da vista sta parlando. Ascoltiamo entrambi.
«Questo messaggio è stato registrato il 1 gennaio 2068 alle ore 22:38. Ghost-01... Mark... non so se puoi sentirmi o se riceverai il messaggio, non so dove sei, so solo che sei vivo. I russi sono al confine, abbiamo poco tempo prima che ci trovino. Devi tornare, ovunque tu sia. Sai che non possono mettere le mani su quello che c’è qua dentro. Abbiamo bisogno di te, oppure otterranno ciò che tentano di prendere da anni. Hai poco tempo, saranno qui fra venti giorni al massimo e se ci trovano prima che arrivi sarà una catastrofe. Sbrigati, ti prego.»
Sono sconvolta: “Ma che succede?”
Mark si volta verso di me, teso e preoccupato: «Piccola, dobbiamo partire.»
«Cosa? Ma per dove?»
«Alaska. Andiamo in Alaska, mia piccola Amara.»
Alaska? E come diavolo dovremmo arrivarci in Alaska? Mi siedo alla poltrona, sotto shock. Guardo il mio uomo mentre ragiona sul da farsi. «Mark, è uno scherzo vero? Non possiamo mollare tutto e tutti così. Abbiamo una città da gestire. Io ho dei pazienti da seguire.»
«Vuoi che parta senza di te? Non so quando tornerò, piccola.»
«Cosa? No non resto qui senza di te, impazzirei!»
Riesco a strappare un sorriso da quel bellissimo volto preoccupato. «Allora è deciso, partiremo insieme. Non posso lasciare che i russi trovino la base.»
«Ma cosa c’è di così importante da doverla proteggere a tutti i costi?»
Lui sbuffa stancamente prima di abbassarsi su di me: «C’è il mio DNA, piccola.»
Lo guardo confusa: «Non capisco.»
«Ho dato l’autorizzazione a essere clonato dopo la mia morte. In quella base c’è tutto il necessario per creare un altro Fantasma.»
“È un incubo, vero?”
«Mi prendi in giro?! Perché mai dovrebbero volerti clonare? E perché gli hai dato l’autorizzazione? Non possono trovare un altro bambino e trasformarlo in un killer come hanno fatto con te?»
Scuote la testa: «Non ci sono mai riusciti. Sono morti tutti. Nessuno è mai sopravvissuto alla prima fase. Impazzivano. Alcuni si sono suicidati nelle loro stesse celle. L’ho visto coi miei occhi quando ritentarono l’esperimento dieci anni dopo il mio arrivo. Io sono l’unico. Dicono che il mio quoziente intellettivo, la combinazione perfetta dei miei geni e le mie caratteristiche psicofisiche fanno di me l’unica persona adatta a sopportare le fasi iniziali del programma e uscirne sano e forte.»
Lo guardo a bocca aperta iniziando a capire perché i russi non debbano scovare la base: non devono possedere un’arma del genere e senza il suo DNA non potranno mai averla.
«Come ci arriviamo in Alaska?»
«Con la mia macchina.»
«Ma quanto ci vorrà?»
«Spero non più di cinque giorni.»
«Cinque giorni di viaggio? Avremo bisogno di cibo, acqua, benzina! Sicuro che riusciremo ad arrivare?»
«L’ho fatto tante volte, piccola. Abbiamo scorte sufficienti anche per viaggi più lunghi di quello.»
«Ma la tua macchina è piccola, come facciamo a caricare tutto quanto?»
Sogghigna: «Piccola? Quella macchina ha un bagagliaio più grande di quanto non immagini. Ci entrano almeno quattro cadaveri da ottanta chili lì dentro.»
Lo guardo storto: «Che strana unità di misura.»
Mi spettina i capelli mentre se la ride: «Sei adorabile, piccola. Ora però dobbiamo sbrigarci, non abbiamo molto tempo.»
«Quando partiamo?»
«Domani all’alba. Non possiamo viaggiare durante la notte o rischiamo di imbatterci in macerie o auto abbandonate. Senza elettricità non si vede niente.»
«Domani?!»
Annuisce. Salto giù dalla poltrona girevole, improvvisamente di corsa. «Ma c’è un sacco da fare!» Mi sto facendo prendere dal panico. Odio i cambiamenti improvvisi. Sono una maniaca del controllo, non mi si può smontare la vita così, dal nulla!
Mark mi afferra, bloccandomi. Fissa il suo sguardo di ghiaccio nel mio, sta prendendo il controllo: «Calmati!»
Riesco a scacciare il panico perdendomi nei suoi occhi.
«Così, brava. Ora seguirai i miei ordini. Chiaro, Amara?»
Annuisco.
«Bene. Dovrai occuparti delle valigie. Ci serviranno vestiti invernali, però dovrai portare anche qualcosa di estivo. Nella base fa caldo, tengono sempre il riscaldamento al massimo.»
“Preparare le valigie? Questo posso farlo. Sì, un compito facile.”
Respiro a pieni polmoni eliminando completamente il panico.
«Devo preparare anche la tua?»
«Sì, piccola.»
«E tu che farai?»
«Devo rispondere a Mary, cercare David, rendere la base accessibile anche a lui così da permetterci di comunicare a distanza, preparare le armi. Beh, c’è tanto da fare.» Mi dà un bacio sulla fronte facendomi sciogliere, poi aggiunge: «Quando finisci coi bagagli torna da me. Ti darò un altro compito. Così non impazzirai di nuovo.»
Ecco come mi vede quando vengo presa dal panico: pazza.
Mi trascina in camera da letto, apre l’armadio e tira giù due grossi trolley neri: «Ecco, divertiti.» Mi dà una pacca di incoraggiamento sul sedere e torna nella tana del killer. “Bene, è ora di darsi da fare.”
Non ci credo... sto per andare in Alaska. Il posto più inospitale d’America. L’Alaska è stata abbandonata a se stessa prima che io nascessi. Non pensavo ci fosse ancora qualche essere umano lì... ma d’altronde uno come Mark dove poteva essere cresciuto se non in una gigantesca riserva naturale piena di orsi e lupi?
Ora capisco perché non indossa mai la maglia: è abituato a temperature ben più fredde di quelle della calda Las Vegas.
Mi addentro nell’armadio. È così pieno di roba da costringermi a tuffarmici dentro per trovare ciò che cerco.
Inizio dalla valigia di Mark. Sarà divertente creargli degli outfit.
Decido di crearne sette invernali e altrettanti estivi. Ne scelgo anche due sportivi e poi metto in valigia due paia di scarpe. Trovo un cappotto pesante invernale e una pazzesca giacca di pelle da motociclista. Deve stargli da Dio. Per un secondo la mia mente vaga permettendomi di immaginarlo con la giacca indosso e vorrei soltanto andare da lui e obbligarlo a metterla. “Amara! Riprenditi per favore.”
Infilo in valigia anche intimo e calze e gli outfit sono pronti.
Corro in bagno e recupero qualche flacone nuovo di bagnoschiuma, shampoo, dopobarba, profumo, un tubetto di dentifricio e le cose che usa per sistemarsi barba e capelli. Aggiungo infine anche spazzolino e salviette, pur sapendo che non userà nemmeno la metà di questa roba. Ma meglio portare tutto. Non si sa mai.La valigia di Mark è pronta. Magari la mia fosse altrettanto semplice da preparare. A volte invidio i maschi. Per loro è tutto così facile. Noi invece dobbiamo star dietro all’intimo coordinato, a capelli, trucco, vestiti, scarpe e borse. Per non parlare di prodotti di bellezza, le creme, le pinzette e le lime. Sospiro scuotendo la testa: almeno non dovrò pensare alla ceretta. Il trattamento laser total body che feci tre anni fa si è rivelato una benedizione.
Sbuffo: “Ahh povera me. Ci vorrà tutta la notte.”
Sono chinata sul cassetto dell’intimo, continuo a lanciare verso il letto le mie scelte per il viaggio quando sento Mark schiarirsi la gola. Mi volto e lo vedo con braccia e mani piene di mutandine e reggiseni. «Devi lanciarmi addosso qualcos’altro prima di accorgerti della mia presenza?»
Nel vederlo rido talmente forte da cadere a terra.
«Stai ridendo di me, troietta?»
Mi mordo le labbra, tentando disperatamente di far cessare quest’infinita risata, e lo guardo con occhi dolci: «Io? No, non potrei mai..!»
Lancia sul letto tutto l’intimo che gli era finito addosso e mi si avvicina, sexy e lievemente minaccioso. La mia temperatura sale mentre mi raggiunge. Mi guarda, divorandomi, e mi accorgo di essere ancora in topless e con addosso solo le mutandine. La notizia del viaggio mi ha sconvolta così tanto che non mi sono nemmeno accorta di essere ancora svestita. “Ops.”
«Non dovrei toccarti, devi guarire. Ma poi ti vedo così, ancora mezza nuda... che mi provochi.»
Noto uno sguardo diabolico e capisco di essermi appena cacciata nei guai. Non riesce ancora a controllarsi. Il mostro prende il sopravvento troppo facilmente e sta accadendo di nuovo: «Mark... ti prego.»
Mi afferra dai capelli, forzandomi ad alzarmi. Vengo sbattuta contro il muro dalla sua mano che mi afferra la gola. «Mark! Ti prego torna in te!»Tremo tutta. Le mie suppliche non servono a nulla. È troppo tardi.
Tento inutilmente di spingerlo via, di allontanarlo... ma è troppo forte. Non lo smuovo di un centimetro.
Mi solleva da terra tenendomi dalla gola. Scalcio mentre rischio di soffocare. A lui non importa. Gli piace la mia sofferenza, la mia paura.
La sua mano scorre sulle mie mutandine in pizzo, le sento lacerarsi quando tira, dopo aver infilato le dita tra i buchi del ricamo. Ora sono alla sua mercé.
Il cuore mi batte forte. Ho paura di lui, di ciò che è capace di fare e di quello che potrebbe farmi. Questo suo lato è troppo malvagio. Non prova niente di romantico... vuole solo possedermi. Questo Mark è capace di godere del mio corpo senza preoccuparsi del resto, del mio benessere, della mia salute mentale.
Potrebbe farmi qualsiasi cosa per puro divertimento e non potrei fermarlo.
Sento la sua mano sul sedere. Scende verso la coscia e la spinge contro di sé, mandandomi un messaggio. Vuole che mi avvinghi a lui, così lo faccio, stringendogli la vita con le gambe.
Mi libera la gola dalla sua morsa permettendomi nuovamente di respirare.
Tremo fissando quegli occhi che mi trapassano da parte a parte. Quando sto per supplicarlo ancora però, prende possesso della mia bocca, invadendola con prepotenza.
La sua lingua, i suoi denti che mi afferrano il labbro, il suo sapore, la passione carnale che traspare da ogni suo gesto violento... tutto di questo bacio mi manda in estasi.
Sono una ragazza debole. Non riesco a resistergli. Il desiderio è talmente forte da cancellare il pericolo.
Mi arrampico su di lui con le cosce strette alla sua vita. Le mie dita si insinuano tra i suoi capelli, li tirano. Rispondo al bacio con la sua stessa passione e gemo, sentendo la sua erezione spingere forte contro il mio sesso che prega soltanto di averlo dentro.La sua mano scende lungo il mio corpo palpandomi, toccandomi, stringendomi, graffiandomi. Quando finalmente libera la sua erezione dai boxer, iniziando poi ad allargarmi, mi ci spingo contro, accogliendolo dentro di me.
Mark mi prende il collo ringhiando, poi sussurra: «Che puttana... ti piace, non è vero?»
Riesco solo a sospirare in risposta quando lo spinge in profondità, con violenza... e riprende a baciarmi trasformando le mie urla in lamenti soffocati.
Gli accarezzo la schiena scolpita e quando mi fa male le mie unghie si conficcano con forza nella sua carne e si trascinano verso il basso, graffiandolo. Le ferite che gli ho causato non le sente nemmeno. Non vacilla neanche un istante mentre mi possiede.

Osservo il mio riflesso allo specchio: i miei capelli sono un disastro, le labbra gonfie, noto qualche livido iniziare a comparire sulla gola e ho alcuni graffi sul fianco. Le mutandine di pizzo che indossavo sono squarciate al centro e cadono a penzoloni sul mio pube. Mi reggo a malapena in piedi dopo l’assurdo orgasmo che mi ha fatto provare.
Sfioro il pizzo lacerato del completo intimo che mi piaceva tanto, convinta ormai che farei prima a non indossarne affatto.
Vedo, mentre mi analizzo, il riflesso di Mark allo specchio e noto la sua schiena piena di sangue: «Oh cazzo!»
Si volta a guardarmi, confuso dalla mia esclamazione, in attesa che io parli.
«Ehm... puoi sederti un attimo?»
«Perché?»
«Devo medicarti.»
La sua faccia diventa il simbolo della confusione: «Di che parli?»
“Come diavolo fa a non sentire nulla?!” Gli mostro le unghie sporche di sangue e la sua espressione passa da confusa a divertita. «Oh... quei quattro graffietti? Davvero? Non serve che mi medichi... gattina.»
Mi ha appena chiamata gattina? So già che se lo farà ancora inizierò a far le fusa e a strusciarmi contro di lui. Adoro questo nuovo nomignolo. «Ma...»
«Shh... rimettiti al lavoro, forza. Non abbiamo molto tempo.»
Lo fisso sconcertata mentre torna nella tana del killer con la schiena piena di sangue. “Ok... non è successo niente.”
Mi do una ripulita e lego i capelli in una coda alta. Recupero dall’armadio i miei vestiti più comodi e larghi: una felpa dell’università e un paio di pantaloni da ginnastica. Il mio nuovo look anti-Mark. Ecco, così non rischierà di saltarmi addosso appena mi vede... si spera.

La preparazione della valigia viene bruscamente interrotta dalla sua voce profonda sussurrata all’orecchio. Mi immobilizzo per lo spavento. «Mhh, carina... credi che questi vestiti ti salveranno da me, piccola?»
Annuisco, tentando al contempo di riprendermi dallo spavento che aveva destabilizzato sia la respirazione che le pulsazioni.
La sua mano si insinua sotto la felpa, sale lungo il fianco fino a trovare il seno. Lo palpa e stringe prima di pizzicarmi il capezzolo. Trattengo appena un gemito.
«Sappi che non funziona. Saresti eccitante persino vestita di stracci.»
“Oh.” Arrossisco violentemente. “Ok, ci rinuncio. Ho tentato, ho fallito. Pazienza.”
«La tua fortuna è che ho da fare, o mi prenderei la tua fighetta ancora una volta.»
Quelle parole sporche, sussurrate all’orecchio, mi fanno eccitare in un nanosecondo. La sua mano abbandona il mio corpo. Lo guardo allontanarsi e uscire di casa, sperando che cambi idea e torni indietro... ma non succede.
Sbuffo seccata: com’è possibile? Faccio di tutto per non farmi divorare da lui e non appena mi sfiora sussurrando qualche parolina sconcia, impazzisco e desidero solo che lo faccia ancora e ancora.
Guardo l’ora: le quattro del mattino. “È tardi, la mia valigia è ancora mezza vuota e io vorrei soltanto masturbarmi. Fantastico.” Sono una causa persa. Non c’è niente da fare.
Quando mi rimetto al lavoro mi rendo conto che festeggeremo il suo compleanno in Alaska. Devo assolutamente portare con me qualcosa di sexy. Voglio rendere quella giornata speciale e indimenticabile.
Scelgo l’intimo più provocante che ho: “Oh sì... gli piacerà senz’altro.” Lo infilo in valigia e poi corro dentro la tana del killer: devo sbrigarmi. Non deve scoprire niente. Blocco la porta con una scarpa per non restare chiusa dentro e raggiungo la cella stando attenta a non toccare nulla.
Apro l’ultimo cassetto per recuperare il collare completo di guinzaglio che vidi quando mi imprigionò, prendo anche un paio di manette e torno fuori pregando che non controlli i video. Nascondo il tutto nella valigia, sotto i vestiti, e poi cerco la scatola dove tiene tutte le cose che di solito usa su di me. Trovo una grossa scatola nera: “Bingo!”
La apro e vedo tanti oggetti al suo interno, molti dei quali che non ha nemmeno mai usato ancora. Noto dei piccoli morsetti tenuti assieme da una catenella argentea. Li prendo, domandandomi a cosa servano: “Beh, immagino che lo scoprirò fra una decina di giorni.”
Prendo il frustino da equitazione desiderando che lo usi su di me. In fondo alla scatola trovo una rotella dentellata. La analizzo, confusa e un po’ spaventata: è inquietante ma mi incuriosisce. “Ma sì, prendo anche questa. Speriamo non faccia troppo male.” Recupero anche il giocattolo che ha usato per il mio compleanno e la frusta piena di frange.Maneggiare tutte queste cose mi ha fatta eccitare... di nuovo... ma l’eccitazione passa subito in secondo piano quando sento Mark e David conversare salendo le scale. “Stanno venendo qui!”
Metto tutto dentro la valigia, nascondendo ogni oggetto sotto i vestiti, chiudo l’armadio per non far scoprire a Mark della scatola aperta e poi mi fiondo sul letto buttandomi di testa sul cuscino. La porta si apre due secondi dopo. Quando Mark mi guarda mi metto seduta. Sulla sua fronte si forma qualche piccola ruga vedendomi col fiatone e il viso arrossato.
Il suo sguardo non mente, dice: “Che stavi combinando?!” e capisco all’istante che dovrò inventare una bugia, e in fretta anche... o scoprirà tutto.
Mi fiondo in bagno non appena loro entrano nella tana del killer. Mi sciacquo la faccia: “E ora come faccio a imbrogliarlo?!”
Quando esco lo trovo seduto sul letto. Tento subito di distrarlo: «Dov’è David?» Indica con un cenno la porta blindata e mi si avvicina, posizionandosi davanti a me.
Mi ritrovo a indietreggiare fino a poggiarmi contro la porta del bagno. Deglutisco, nervosa, quando il suo sguardo ipnotizzante mi scruta l’anima. «Che stavi facendo?»
«Io... ehm.»
Si spinge contro di me, pressandomi contro la porta: «Parla.»
«Io...»
«Tu?»
Mi mordo le labbra: «Stavo riposando.»
«Stai mentendo.»
Il mio cuore batte così forte. “Cosa faccio?!” «Non credi che lasciare David chiuso lì da solo sia pericoloso?»
La sua mano mi avvolge la gola mentre mi fissa: «Non cambiare argomento, schiava. Parla.»
Abbasso lo sguardo tentando di assumere un’espressione colpevole. Mi convinco di quello che sto per dirgli: “Lo stavo facendo davvero... lo stavo facendo davvero.” Mi immagino, convincendomi che quello che sto per dire è realmente accaduto, e rispondo: «Mi stavo masturbando.»
Povera me. Mi punirà per qualcosa che non ho fatto ma devo mantenere il segreto.
Lo sento espirare bruscamente. Mi sbatte di faccia contro il legno della porta, mi infila una mano dentro le mutandine e... mi trova bagnata. Pensare al suo compleanno mi aveva fatta eccitare. Quando sfiora il clitoride sensibile sussulto. Mi analizza come se mi stesse controllando e poi mi infila due dita dentro facendomi gemere. «Sei davvero cattiva...» Mi morde il lobo e aggiunge: «…meriti una punizione.»
Le mie cosce si serrano: è tutto troppo eccitante.
«Quando io e David saremo andati via voglio che tu vada nella cella, nuda. Ti chiuderai dentro e mi aspetterai in ginocchio. Chiaro?»
Il mio corpo viene travolto dalle vampate. Sto morendo dentro per quanto il desiderio è diventato forte. Rispondo ansimando: «Sì, Padrone.»
Quando sfila via la mano dai miei pantaloni mi ritrovo a supplicarlo. Le mie gambe cedono facendomi crollare in ginocchio ai suoi piedi mentre mi sorride maliziosamente. Le sue dita si spingono contro le mie labbra. Apro la bocca accogliendole. Le succhio... sento il mio sapore su di esse.
«Sei proprio una schiava cattiva.»
Sfila via le dita dopo averle spinte in profondità per qualche istante. «Ti prego, non lasciarmi così, Mark.»
«Sei venuta quando ti masturbavi?»
Scuoto la testa.
«Non osare finire quello che hai iniziato. Voglio che resti così... in pena, eccitata, vogliosa.»
Sto ansimando e non so nemmeno il perché. L’idea di una punizione mi dà alla testa. La mia bugia è diventata così reale nella mente che mi sembra di essermi davvero masturbata. Annuisco in risposta ma lui mi schiaffeggia. Mi correggo subito rispondendo: «Sì, Padrone..!»
«Bene.»
Lo vedo tornare nella tana del killer. Le mie mani finiscono a terra mentre tento di gestire il mio battito impazzito. “Cosa è appena successo??”

Quando escono dalla stanza la mia valigia è finalmente pronta e io sto ancora impazzendo per ciò che è accaduto venti minuti fa. Non riesco a non pensare a ciò che mi aspetta. Sono ancora eccitata... soffro fisicamente. Non riesco più a pensare a nient’altro. So che la punizione sarà dolorosa ma non riesco a temerla... VOGLIO che mi punisca.
Mark mi lancia un’occhiata di intesa e, appena escono di casa, obbedisco al suo ordine. Mi spoglio e corro nella cella. Mi inginocchio, appoggio le mani sulle cosce e aspetto, continuando a chiedermi cosa mi farà.